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Morozov ci spiega perché dobbiamo stare attenti a internet e ai social network. Soprattutto quando si parla di democrazia reale

“Negli ultimi tempi si è diffuso un grande ottimismo riguardo alle nuove tecnologie e ai social network. La popolazione ha la convinzione che i new media possano aiutare i politici “buoni” a diffondere le proprie idee e che possano giocare un ruolo importante nella caduta dei regimi. O anche che tramite la comunicazione via blog e sms possa aumentare la partecipazione ai movimenti di opposizione. Tanto che i fan dei nuovi mezzi di comunicazione a volte sembrano delle cheerleader”, ha detto Morozov in apertura. “Però si continua a fare poca attenzione ai modi in cui la rete venga usata per controllare la popolazione. O a come i social network possano essere strumenti di dominazione o come strumento di propaganda.”, ha continuato. “In particolare vogliamo continuare ad ignorare come i governi autoritari abbiano cominciato a comprare tecnologie avanzate per ottenere informazioni sui dissidenti. Assumendo anche esperti capaci di controllare il traffico e lo scambio dati su internet in maniera molto approfondita”. Il problema, secondo Morozov, parte dai nostri governi. “I policy makers occidentali hanno una doppia visione su internet. La mattina sono capaci di dire che la rete sia uno strumento di liberazione – quando parlano della Cina o dei paesi arabi – e il pomeriggio possono dire tutto il contrario. Per esempio che bisogna aumentare il controllo su internet nei nostri paesi per evitare la pirateria. O per impedire agli hacker di combinare danni. O addirittura che i social network possano essere usati dai terroristi”, ha spiegato. “Cambiano la prospettiva in base al pubblico: se parlano in contesti nazionali, magari davanti ad una scolaresca, dicono quant'è cattivo internet e quanto fa male alla concentrazione e all'apprendimento. Se parlano ai dissidenti cinesi lo presentano come uno strumento di liberazione, che apre le frontiere, che permette di comunicare.” Ma poi quello che succede fuori dai paesi occidentali è tutta un'altra storia. “Nei paesi dai regimi autoritari, i governi hanno imparato ad usare la tecnologia contro la democrazia. In paesi come l'Arabia Saudita, ad esempio, la censura è portata avanti tramite cyberattacchi, che “spengono” i siti scomodi per lunghi periodi di tempo, impedendo alla comunità online di discutere di alcuni temi”, ha spiegato Morozov. “Dall'altra parte noi continuiamo invece ad essere convinti, ingenuamente, che Facebook e gli altri social network siano stati veicolo di diffusione dei contenuti rivoluzionari all'interno delle sommosse”, ha continuato il ricercatore. “Nell'estate del 2009 leggendo i giornali sembrava che le proteste in Iran fossero possibili solo grazie a Twitter. In realtà analisi della rete fatte successivamente hanno dimostrato che quasi tutti gli utenti che usavano il social network per fomentare la rivolta non twittavano dall'Iran, ma dall'estero. Addirittura secondo un'inchiesta di Al Jazeera erano solo 60 gli attivisti iraniani che effettivamente si trovavano sul luogo nel periodo della protesta. E tra l'altro hanno rischiato molto, e il meccanismo che si era sviluppato online probabilmente li ha messi ancora più in pericolo, perché su internet tutto è tracciabile”. Aggiungendo poi: “Domani potrebbero esserlo ancora di più, se pensiamo a come sta migliorando la tecnologia del riconoscimento facciale. Un ragazzo coinvolto nelle proteste potrebbe allora essere trovato semplicemente confrontando le foto delle rivolte con quelle caricate su Facebook”. Ma allora qual è la soluzione? “Smettere di pensare che internet sia una specie di creatura vivente che fornisce la risposta e la soluzione a tutti i problemi più complicati delle nostre società. Inutile chiedersi se sia buono o cattivo, o avere una posizione sul fatto che sia dannoso la democrazia o la promuova. Semmai ha senso domandarci come ognuna nelle nuove tecnologie e dei servizi online vengano usati. Solo questo ci permetterà di affrontare le grandi sfide delle nostre società, come quelle che riguardano sicurezza e democrazia”, ha concluso Morozov.
 

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