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Il futuro dei viaggi nello spazio sta nella ricerca. E nella collaborazione tra scienza e tecnologia

“Bisogna studiare la teoria e sviluppare innovazione, e nel frattempo dedicarsi all'educazione e alla formazione”, ha detto Parrish, Acting Chief Technology dell'agenzia spaziale americana. “Uno di quei bambini che oggi sognano di diventare astronauti, potrebbe veramente diventare il primo uomo a camminare su Marte”. Alla NASA, infatti, son sicuri che una sorta di colonizzazione terrestre dell'universo possa essere vicina, grazie al ruolo di scienza e tecnologia. “Per passare dal sogno alla realtà il modo è sempre stato uno solo – ha spiegato Gale Allen, Associated Chief Scientist – ed è segnato dalla ricerca scientifica e tecnologica insieme. Se il compito dell'uomo è quello di porre le domande più difficili e cercare i posti più irraggiungibili, è solo grazie a scienza e tecnologia che si potrà rispondere a tali quesiti e raggiungere tali luoghi.” A questo il suo collega alla NASA ha poi aggiunto: “I due ambiti sono inscindibili, se vogliamo inviare missioni sui satelliti naturali presenti nel Sistema Solare, dobbiamo scoprire quanto sono dense le loro atmosfere e poi costruire apparecchi in grado di attraversarle senza problemi”. Soprattutto perché sembra che siano ancora molte le cose che possono essere migliorate nei viaggi spaziali. “Non siamo mai stati così coscientemente ignoranti”, ha detto Roberto Battiston, presidente della Commissione Scientifica Nazionale dell'INFN nell'ambito delle Astroparticelle. Anche secondo i ricercatori della NASA, infatti, i passi in avanti da fare sono ancora parecchi. “In futuro potremo costruire razzi che viaggino a velocità dieci volte maggiore di quelli attuali, e sviluppare comunicazioni anche 100 volte più rapide”, ha aggiunto Parrish. “Nel campo del trasferimento di informazioni, in particolare, dobbiamo fare molto meglio. È come quando dai modem dial-up si è passati all'adsl. Noi con le comunicazioni radio è come se stessimo ancora ai vecchi modem: lo studio dell'ottica e lo sviluppo di nuovi laser ci potrà far fare il salto di qualità che vorremmo.” E non è solo per i viaggi nello spazio che serve la ricerca, ma anche per questioni di sicurezza. “Non vogliamo certo fare la fine dei dinosauri, no?”, ha detto ancora Parrish, con una battuta. Aggiungendo: “Oggi siamo capaci di studiare le traiettorie degli astri, ma dobbiamo sviluppare anche una tecnologia in grado di proteggerci nel caso qualche corpo celeste voglia venirci incontro.” Senza parlare poi di tutto quello che la ricerca nel campo spaziale ha portato anche nella vita di tutti i giorni: da carburanti efficienti, alle batterie al litio per le automobili, allo sviluppo di energie pulite. Ma forse è nel campo medico che la ricerca spaziale ha fornito gli oggetti più utili. Basta pensare ad esempio ai termometri elettronici o ad altri apparecchi che aiutano i medici in caso di emergenza: “Nelle stazioni spaziali non ci sono dottori, quindi sono state sviluppate tecnologie che possono aiutare anche persone non preparate in medicina a fare diagnosi e curare.” E in Italia? Come spiegato da Reno Mandolesi, consigliere di amministrazione dell'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e membro del consiglio scientifico della European Space Agency (ESA), la situazione della ricerca non è ottimale. “Nel campo scientifico, nonostante la nostra tradizione di scienziati, siamo solo all'ottavo posto per numero di pubblicazioni. Ma se restringiamo il campo ai temi che riguardano lo Spazio facciamo meglio: siamo i quinti al mondo.” Secondo l'astrofisico, che lavora anche all'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), il problema è nella mancanza di fondi. Colpa anche delle imprese italiane, che sono quelle che investono meno nella ricerca, tra i paesi occidentali più sviluppati. La soluzione dovrebbero essere gli investimenti per il rinnovamento scientifico e tecnologico. Ma non solo sulla ricerca applicata. “Senza tutti quegli uomini e quelle donne che si impegnano a studiare spinti solo dalla curiosità, tutto il resto non esisterebbe, non ci sarebbero nemmeno le applicazioni”, ha detto Battiston. “Come si suol dire, noi sediamo sulle spalle dei giganti. Ma speriamo di essere a nostra volta piccoli giganti, capaci di spingere la ricerca verso il futuro.”
 

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