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La vergogna: guida alla distruzione di un sentimento che ci avvelena. Che spiega perché i bambini di strada odiano chi li ama. Perché una adolescente si fa il piercing, e perché siamo ossessionati dalla verginità. Viaggio dentro noi stessi con Cyrulnik. Per ritrovare un sentimento perduto: l’orgoglio.

Ma che cos’è, poi, la vergogna? “La vergogna è un sentimento, un’emozione – spiega Cyrulnik - Ci sono persone che vivono con emozioni molto intense, sono vettori di serotonina. A differenza, per esempio, di un macaco. In lui, infatti, nulla scatena emozioni molto forti”. Questo sentimento è acuito nei bambini: “Il 15 per cento di loro è timidissimo: si nasconde dietro alla mamma per un nulla. Si può parlare di vergogna? Quel che è certo è che per un nulla provano emozioni fortissime. Quando un bimbo iperemotivo è circondato da affetto, però, questa iperemotività si riduce, perché ha una stabilità affettiva che gli dà fiducia in se stesso. Quando il bimbo, invece, è in una condizione di isolamento, il cervello ne risulta alterato”. Neurologia, psicologia e situazioni sociali, infatti, per Cyrulnik sono indissolubilmente legati: “Il cervello è conseguenza di rapporti umani. Gli studi dimostrano che situazioni come quella di una guerra cronica, provocano effetti tangibili sul cervello. Quando si vive insieme, infatti, ognuno partecipa alle emozioni e alla struttura celebrale dell’altro. In Romania, per esempio, sotto il regime di Ceausescu, si sono create le condizioni dell’impoverimento affettivo dei bambini. I bambini orfani che vivevano in istituto, presentavano tutti un’atrofia frontale. Quando queste strutture sono state chiuse e i bambini affidati a famiglie adottive, solo un anno la tac di controllo ha mostrato che le atrofie frontali erano scomparse. Questa è la prova della resilienza del cervello”. La resilienza, termine preso in prestito dalla fisica, sta a significare proprio la capacità di resistere e superare episodi gravi basandosi sulle proprie forze. Per svilupparla, spiega Cyrulnik, “bisogna agire sulla nicchia affettiva che circonda un bambino ancora nella fase preverbale, e poi quando parlerà bisogna agire sul racconto che lo circonda”. Ma da dove ha origine la vergogna? “Si tratta di una convergenza di cause che provoca un effetto. Non esiste vergogna senza trauma nello sviluppo personale nella famiglia o nella cultura. È lo sguardo dell’altro che provoca vergogna. Bisogna distinguere, però, tra vergogna e senso di colpa: quando provo vergogna ho un detrattore intimo in testa che mi dice: indipendentemente da quello che farai non sarai adeguato. Mentre nel senso di colpa c’è un tribunale immaginario che ti processerà per una colpa immaginaria. La nostra strategia, dunque, è l’autopunizione. Intendiamoci: noi abbiamo bisogno di un po’ di vergogna e di senso di colpa per rispettare l’altro, per convivere. Ma non troppo. Quando c’è un trauma la vergogna diventa un modo di vivere”. Un esempio concreto è quello dei bambini di strada: “Non provano mai vergogna, anche se rubano. Solo quando ci occupiamo di loro, allora si sentono sporchi perché sentono la nostra disapprovazione. Questi bambini aggrediscono le persone che amano. E lo fanno perché provano vergogna”. Nel caso di Primo Levi, si riesce a comprendere che la resilienza non scatta se la vergogna non può essere verbalizzata, o espressa attraverso veicoli culturali. “Quando torna a casa, lo scrittore si sente ancora più solo. Perché quello che racconta è insopportabile, i suoi cari, la sorella non ne vogliono sentir parlare. Le vergogne sociali possono essere superate anche attraverso l’opera d’arte. Ma “Se questo è un uomo” all’inizio è stato un fallimento. Solo 26 anni fa si è iniziato a prenderlo in considerazione: grazie a questa svolta culturale, Levi avrebbe potuto liberarsi della sua vergogna. Ma ormai era troppo tardi, e lui si era già ucciso”. In altri casi, invece, la vergogna è una sorta di rito di passaggio verso la propria autonomia. “Tutti noi siamo passati attraverso una sorta di romanzo familiare, in cui si pensa che non si dovrebbe essere figli di questi genitori. Non è cattiveria, ma è l’inizio dell’autonomia. Il piercing, per esempio, può essere un mezzo per emanciparsi, visto che i genitori lo disapprovano”. Ma c’è un’altra vergogna, più sottile e logorante. Quella usata come “arma del conformismo. Un esempio è il valore sociale attribuito alla verginità. Un valore estremizzato che si sta riaffermando in città come Beirut, Napoli, alcune zone degli Stati Uniti: qui, il ventre delle donne viene usato come arma sociale”. Ma si può essere immuni dalla vergogna? “Sì: le persone perverse. Che non provano né vergogna né senso di colpa. Per loro conta solo il proprio piacere”.
 

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