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Orizzonti cosmici. Il passato remoto dell’universo spiegato a bordo di una nave

Si definisce un archeologo del cosmo, lo studioso fiorentino. E non a caso: la spinta ai confini dell’universo, infatti, è anche una corsa a ritroso nel tempo. Alla scoperta del passato dell’universo. Il limite, però, è ben preciso: “L’orizzonte più lontano è a 13,7 miliardi di anni luce da noi”. L’ultimo orizzonte, infatti, è il “limite oltre il quale non si vede niente, come la siepe che da tanta parte del’ultimo orizzonte il guardo esclude nell’Infinito di Leopardi. L’umanità, d’altronde, ha sempre cercato di espandere il proprio orizzonte: per curiosità, e per utilità. Ebbene, per gli astronomi l’orizzonte si è espanso moltissimo nei secoli”. In passato, le stelle erano considerate oggetti trascendenti. “Poi, si iniziò a misurare la loro distanza”. Ad allargare l’orizzonte astronomico, ci pensò Galileo Galilei, che “riuscì a vedere le stelle nei bracci a spirale più vicini della nostra Galassia. Fu lui il primo uomo a distinguere in quella luminosità lattiginosa le singole stelle”. Più gli strumenti diventavano potenti, più l’orizzonte si allargava: “Con telescopi sempre più grandi si capì che la galassia era molto più grande. Fatta di masse dai diversi colori, temperature e luminosità”. Il pubblico, che affolla la scintillante sala conferenze della nave, non si perde una parola. E si abbandona alla visione delle affascinanti simulazioni che scorrono sullo schermo, di Galassia in Galassia, e vengono davvero in mente i versi di Leopardi: “il naufragar m’è dolce in questo mare”. “La nostra Galassia è il sistema di stelle a cui appartiene il sole – precisa De Bernardis – stiamo parlando di 200 miliardi di stelle. Ma se andiamo ancora più lontano, riusciamo a vedere anche altre galassie, come Andromeda. E ancora, ammassi di Galassie che si raggruppano: stiamo parlando di distanze nell’ordine di cento miliardi di miliardi di chilometri”. La simulazione, spiega De Bernardis, serve a dare l’idea “di andare a zonzo tra le Galassie. E in questo modo si vede che sono distribuite in modo non omogeneo”. Ma perché il nostro limite è fissato a 13,7 miliardi di anni luce? “Più lontano non si riescono a misurare le distanze, perché la luce impiega del tempo. Più si va lontano, più ci si addentra nel passato dell’universo. E così, se guardiamo troppo lontano, arriviamo dove le Galassie non si erano ancora formate. Questo è un problema: non possiamo fare la foto di com’è l’universo dappertutto ora, ma possiamo fare la foto di com’era l’universo nel passato”. Un problema, precisa lo studioso, ma anche un’opportunità. Come si fa, dunque, a capire a che distanza si trovano le stelle? Semplice (si fa per dire): dal colore. “Il nostro occhio reagisce in modo diverso a luce rossa e blu. La Galassia emette lunghezze d’onda ben precise, che dipendono dagli atomi”. Queste lunghezze d’onda, però, cambiano man mano che le stelle si avvicinano. “Einstein spiegò che la luce cambia lunghezza d’onda se la geometria dell’universo in cui si muove la luce si espande. Così, per esempio, se la luce parte come luce blu, ma durante il viaggio l’universo si espande, si espandono anche le lunghezze d’onda. E la luce da blu diventa verde, e poi diventa anche rossa. La galassia più lontana, quindi, alla fine arriva a noi come luce infrarossa. E noi possiamo dedurre che questa luce ha viaggiato 13 miliardi di anni per arrivare a noi”. Altro elemento per andare a scandagliare nel passato dell’universo: il calore. Perché “se l’universo si espande, si deve anche raffreddare. È una legge fisica fondamentale: l’espansione comporta un raffreddamento. E allora se universo si sta espandendo e raffreddando, vuol dire che era più caldo in passato. In un’epoca remota era seimila gradi: caldo come la superficie del sole”. Per questo più guardiamo lontano, più facciamo un viaggio nel passato dell’universo, “più troveremo una materia talmente calda da essere incandescente. Come la superficie del sole”. Oltre i limiti, dunque, ci aspetta un “muro abbagliante, incandescente”. Un ostacolo fisico, dunque, un po’ come la siepe di Leopardi. “Come fare a penetrarlo? Studiando le microonde che arrivano dall’universo primordiale”, spiega De Bernardis. Perché l’uomo non si ferma, e c’è la possibilità che nuovi studi spostino lo sguardo ancora più oltre.