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Antartide: un ambiente vitale che potrebbe diventare sterile. Se non fermiamo il riscaldamento globale

“La prima cosa da considerare è la temperatura a cui muoiono gli animali che abitano gli oceani, non solo quelli antartici”, ha spiegato Hans Poertner, fisiologo animale dell'Alfred-Wegener-Institut per la ricerca marina e polare. “Esiste una temperatura massima e una minima al di fuori delle quali i pesci muoiono: gli studiosi chiamano finestra termica l'insieme di valori in cui è possibile la sopravvivenza. Questo range dipende dal luogo in cui i pesci si sono sviluppati: i pesci che si sono evoluti al caldo saranno abituati a quelle temperature, quelli nati ai poli si saranno adattati invece al freddo”, ha continuato lo scienziato. “Se la temperatura aumenta troppo i pesci che vivono negli oceani come l'Atlantico o il Pacifico possono spostarsi nei mari più freddi, ma gli animali che vivono negli oceani polari non hanno altri luoghi dove migrare”. George Somero, docente di biologia marina alla Stanford University, che ha parlato dopo Porter, ha aggiunto: “ci sono diverse specie di pesci che muoiono quando la temperatura sale oltre 3-4°C, dunque molto bassa”. Rivolgendosi poi direttamente alla platea: “Immaginate cosa succederebbe loro se l'acqua si riscaldasse di qualche grado. Sarebbe una strage. Il problema è che sta lentamente succedendo.” Ma sono anche altre le questioni relative al riscaldamento globale. Una di quelle più conosciute è l'aumento del volume dell'acqua, che per noi vuol dire innalzamento del livello del mare, spiagge più strette, allagamenti. Ma che cosa comporta questo fenomeno per i pesci? “Gli animali marini, così come tutti noi, necessitano di ossigeno. Più estrema è la temperatura, meno tollerano la diminuzione di ossigeno: le capacità aerobiche e il flusso sanguigno diminuiscono, l'emoglobina non funziona bene e i pesci vanno in ipossia”, ha spiegato Somero. Il problema, come specificato da Poertner, è nella concentrazione di ossigeno nel mare: “Quando gli oceani si riscaldano c'è un volume maggiore di acqua. Forse qualcuno di voi saprà che i fluidi caldi tendono a stare in superficie, quelli freddi sul fondo: questo porta alla formazioni di veri e propri livelli separati di liquido a diverse temperature, che non possono scambiarsi tra loro. Se aumenta il volume dell'acqua in uno di questi strati, vuol dire che in esso ci sarà concentrazione minore di ossigeno. Quindi in queste zone la possibilità di sopravvivenza dei pesci diminuisce sensibilmente”. Un avvertimento, questo, accompagnato da quello ben più noto della concentrazione di anidride carbonica, problema che riguarda anche i nostri cieli. “La maggiore concentrazione di CO2 restringe la finestra in cui i pesci non vanno in ipossia, il riscaldamento climatico ha a che fare con la sua accumulazione nei mari. In questi ultimi decenni abbiamo misurato un incremento di acidità dell'acqua, parallelo all'aumento dell'anidride carbonica e alla calcificazione dei mari. È stato un cambiamento piuttosto lento, quello dell'acidità, di 0,02 unità per decade dal 1980. Difficile osservarlo, dunque, ma dalle terribili conseguenze sulla fisiologia degli animali marini”, ha detto lo scienziato. Concludendo: “Abbiamo proiezioni su quello che succederà se non smettiamo di bruciare combustibile fossile. Arriveremo alla concentrazione di CO2 più alta mai raggiunta in milioni di anni. Dalla fase preindustriale abbiamo già il 32% di acidità in più, ma la predizione è che entro il 2100 avremo mari 2,8 volte più acidi. Alla luce del fatto che questo va di pari passo con la concentrazione di CO2 nell'acqua e nell'aria, immaginate cosa potrebbe succedere?” Alla conferenza, secondo appuntamento sull'Antartide, sono intervenuti anche Cinzia Verde, ricercatrice dell'Istituto di Biochimica delle Proteine del CNR, e Carlo Barbante, chimico, glaciologo e scienziato della terra dell'Università Ca' Foscari di Venezia.
 

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