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L’uomo che non poteva ricordare: storia di H.M. E di un cervello diventato patrimonio del mondo scientifico. In diretta sul web

“Comincia tutto negli anni Cinquanta, quando ancora si praticava la lobotomia. – racconta Jacopo Annese in un’aula San Salvatore piena di studenti – Il dottor William Scoville decide di praticare un intervento sperimentale su un paziente, H.M., che soffriva di attacchi epilettici. Le sue condizioni erano drammatiche, non riusciva più a lavorare. Così, Scoville nel 1953 gli fece l’intervento: operava con un trapano a mano, molto rudimentale: praticò dei fori sovraorbitali, mentre con una cannuccia rimuoveva il tessuto celebrale che si riteneva fosse all’origine delle convulsioni”. L’intervento sembra riuscito, ma quando il dottore chiede ad H.M. cosa ha mangiato lui non ricorda. Non lo riconosce neppure. La scoperta è drammatica quanto sorprendente: togliendo l’ippocampo da entrambi gli emisferi del cervello, la memoria scompare. O meglio, il paziente viveva in un presente perenne, fatto solo di memoria a breve termine. “Appena la sua attenzione veniva deviata su qualcos’altro, non lo ricordava. – precisa Annese - Brenda Milner, allora ancora studentessa, venne mandata a visitare HM. Fece degli esperimenti: gli insegnò a ricalcare una stella. Ogni volta che lo faceva, HM migliorava: ma allora, se aveva perso la facoltà della memoria, come faceva, a imparare?”. Da qui, l’altra importante scoperta: “La distinzione tra memoria dichiarativa, relativa a fatti ed eventi, e quella procedurale che riguarda attività come suonare uno strumento o andare in bici, che non dipende dall’ippocampo. La memoria, dunque, non è un processo unico. Ma si compone di sistemi diversi”. Gli studi più approfonditi iniziano dopo la morte di H.M. Jacopo Annese e il suo team di collaboratori dell’Università della California di San Diego cercano di “misurare il suo cervello a livello cellulare, e l’unico strumento è l’istologia. Con la risonanza magnetica abbiamo visto la lesione del ’53 e un’altra piccola lesione avvenuta quando Scoville ha sollevato i lobi frontali. Era importante scoprire cosa era successo durante quella operazione, ma anche capire quali tessuti fossero rimasti: e in effetti un po’ di ippocampo del suo cervello c’era ancora”. Annese e il suo team congelano il cervello di H.M. a meno 36 gradi, tenendolo in infusione in soluzioni zuccherine. Poi, lo sezionano in diretta sul web, mentre studiosi e curiosi “twittano da tutto il mondo”. Una volta completata l’operazione, inizia il lavoro sulle “fettine” di cervello: “Abbiamo caricato le immagini su un server, per rendere i dati accessibili a tutti. Il tessuto è così catalogato, tutte queste informazioni saranno poi incorporate in un unico database”. Grazie ad H.M., gli studi sulla memoria e sulle neuroscienze hanno fatto un enorme passo avanti. “Se non avesse donato il cervello, non avremmo potuto far nulla. E non potremmo cercare di capire se nella massa celebrale ci sono delle tracce che rendono un individuo unico”.
 

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