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Il cervello artificiale è possibile? Una discussione tra scienza e ingegneria

“La verità è che siamo alla ricerca di strumenti per aumentare la nostra intelligenza, sia direttamente con la biologia che indirettamente coi nostri computer” ha detto Tommaso Poggio, docente del dipartimento di Brain & Cognitive Intelligence Laboratory del MIT, nella sua introduzione. “È solo in questo modo che avremo il mezzo per risolvere tutti gli altri problemi complessi di cui ancora non conosciamo le risposte.” I computer, infatti riescono a batterci in molte delle attività che generalmente riteniamo da cervelloni: giocare a scacchi, fare di conto, risolvere problemi di logica. Però non riescono ancora a ragionare oltre quello che gli viene insegnato, e infatti nessuno di essi è abbastanza intelligente da fare giardinaggio o cucinare un piatto originale come farebbe uno chef. E soprattutto non sono capaci di creare con gli altri apparecchi una mente collettiva come quella che noi costruiamo con i nostri simili. Ed ecco, appunto, qual è il segreto del nostro successo evolutivo, secondo Matt Ridley, zoologo diventato giornalista e scrittore e autore del libro “The rational optimist”. “Nessuno di noi ha nel cervello tutte le conoscenze che servono per costruire la maggior parte delle cose che utilizziamo”, ha detto. “Ma di sicuro le abbiamo tra le nostre menti quando le uniamo.” L'esempio di Ridley è semplice, riguarda un oggetto ormai di uso comune per tutti noi “Prendete un mouse. È costituito da diversi tipi di materiali e unisce tante idee differenti. Un certo numero di persone, mettendo insieme quello che sanno di elettronica, fisica, ingegneria, e design, hanno costruito uno strumento usato da altri milioni di persone. È questa la nostra forza: gli esseri umani sono capaci di lavorare insieme e di produrre oggetti. Infatti quando penso ai mouse mi sento molto importante: c'è tutto un team di persone, piuttosto grande, che lavora solo per produrre quest'oggetto per me. È splendido”, ha continuato tra le risate del pubblico. Aggiungendo ancora: “Luigi XIV aveva migliaia di persone a preparargli la cena ogni sera. Beh, se ci pensate ce le abbiamo anche noi, se consideriamo quanta gente debba lavorare affinché una bistecca ben cotta finisca sul nostro piatto”. Metafore che indicano come, per spiegare l’evoluzione dell'intelligenza umana, non bisogna solo analizzare l’apporto del singolo individuo, ma anche quanto ciascuno ha contribuito allo sviluppo della società. Così l'intervento di Ridley ha dato la prospettiva da cui guardare il problema. Aprendo la strada agli altri contributi, che hanno raccontato come le scienze del cervello e la cosiddetta “ingegneria dell'intelligenza” siano affrontate in alcuni gruppi di ricerca nel mondo. Sono intervenuti Nikos Logothetis (Max Plank Istitute for Biological Cybernetics), Emilio Bizzi (MIT), Roberto Cingolani (IIT), Alessandro Verri (Università di Genova), Kobi Ritcher (Medinol), Amnon Shashua (Hebrew University). I temi? Come la mente percepisce la realtà, come il sistema nervoso centrale controlla movimenti e reazioni del corpo, come e se è possibile risolvere i problemi hardware e software nella costruzione di cervelli artificiali. E poi ancora, le applicazioni dell'intelligenza artificiale in campo clinico e nell'ambito della computer vision, in particolare per i sistemi di guida automatica di veicoli.
 

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