Festival della Scienza

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Esperimento maratona. Ovvero, arte e scienza non stop. Dove si trasforma (anche) l’acqua in vino

l progetto ha una doppia faccia: curato dal co-direttore della Serpentine Gallery Obrist insieme all’artista islandese Olafur Eliasson. E progettato da Eliasson Kjeti Thorsen, installato prima nel Pavillon della Serpentine Gallery e più tardi a Reykjavik nell’ambito del Festival Arts. Ma di che si tratta? Una mostra non è: “Lo spazio è completamente diverso, e poi il pubblico deve interagire, è attivo”. Performance? Non proprio, perché “abbiamo scienziati di livello, non solo artisti – spiega Obrist – il difetto di certi grandi progetti di mostre è che invitano scienziati mediocri, perché spesso c’è il malinteso che una disciplina illustri l’altra. Invece, per darvi un’idea, il nostro principale consigliere è John Brockman”. E pensare che in principio fu una cucina: la prima mostra, dove “scienza e architettura si incontravano”. Poi, l’idea di usare uno spazio completamente diverso, di esplorare altre possibilità: “La struttura doveva essere quella di una conversazione infinita, applicando l’esperienza del mondo dell’arte al mondo dei convegni. Una 24 ore non stop, insomma. Un po’ come un concerto open air che non si ferma mai”. Un Festival del sapere, dunque. Dove tutte le discipline si incontrano. “Nel 2007 abbiamo immaginato un convegno dove abbiamo a disposizione 24 ore, ma non parliamo e sperimentiamo: ogni partecipante deve fare un esperimento, con il rischio che fallisca”. Ed eccoli, gli esperimenti maratona, sfilare sullo schermo di Sala del Minor Consiglio uno dopo l’altro. Dal più folle al più “miracoloso”. “Uno consisteva nel dimostrare come il cervello pensa il movimento, attraverso una scatola di specchi. Un altro era il cielo in una bottiglia, una ricostruzione di un esperimento fatto nell’Ottocento che cerca di spiegare perché il cielo è blu, usando latte e acqua”. Rivisitare un esperimento del passato è ammesso. E poi ci sono le dimostrazioni con i robot, quelle sul perché sentiamo la paura, il cosiddetto intercambio condizionale tattile, con il pubblico che si ritrova legato per ore. C’è il monologo dell’artista con lo scimpanzé, la “stella in scatola”, una specie di nucleare in miniatura. Si studia il linguaggio delle formiche e si dimostra che le donne sono più empatiche degli uomini. Qualcuno trasforma persino l’acqua in vino, seguendo le orme di un ben più illustre predecessore. Ma l’esperimento più riuscito è stato sicuramente la maratona da esportazione: nel senso che ora la non stop la stanno sperimentando anche altre città: da Atene a Torino. Tema? Libero. Molto libero: “Dalla maratona dei manifesti, a quella sulla poesia fino alle mappe – spiega Obrist – c’è chi ha realizzato la mappa del cielo e dell’inferno, altri sul cambiamento del clima” Perché non importa tanto su cosa si collabori. “L’importante unire le forze, tra artisti e scienziati. Come curatore, infatti, penso che limitare una mostra solo all’arte sia riduttivo. Soprattutto nella polifonia della nostra epoca. Dunque, basta parlare: ora è tempo di fare. Fare insieme progetti concreti. Questo è il futuro: team ibridi di scienziati, artisti e architetti per produrre della realtà insieme”. Anche su dove partire, Obrist ha le idee chiare: “Dai progetti non ancora realizzati. Il futuro, infatti, si costruisce dai frammenti del passato”.