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Un nuovo vaccino contro il virus delle chiocciole: la malattia tropicale più feroce dopo la malaria

Il colpevole di questa malattia dal nome impronunciabile è una semplice lumachina.Un verme – spiega la El Ridi – che scava un solco nella cute degli esseri umani ed entra nell’organismo. Gli schistosomi giocano con il sistema immunitario dell’ospite, che rimane indifferente a loro. Sono le uova, infatti, che inducono alla malattia”. Una malattia che distrugge il fegato. E resta a lungo dormiente. “La maggior parte dei bambini contrae il virus a tre anni, ma la malattia viene diagnosticata poi a dieci anni. E a quell’età il fegato è già compromesso. A 20 anni, poi, smette proprio di funzionare: insorgono emorragie, il sistema immunitario non riesce più a combattere il virus”. Meno conosciuta della malaria, la schistosomiasi è però ancora più pericolosa. E si contrae con grande facilità: basta nuotare nei corsi d’acqua dove vive la chiocciola. “In Egitto, lungo il Nilo, questa patologia è molto diffusa. Anche in Cina e in Giappone. Per combattere la malaria e la tubercolosi bisogna avere un sistema immunitario molto forte. La schistosomiasi, invece, va in direzione molto diversa: qui il sistema immunitario viene deviato. Per ora, c’è un solo un farmaco contro questo virus: il Praziquantel: “Ma non riesce a impedire che la malattia si ripresenti. E quando è già ad uno stadio avanzato, è troppo tardi”. Come trovare, dunque, il vaccino? “Queste larve vivono nel sangue dell’ospite per anni. L’unica chance per combattere il parassita è intervenire nella prima fase della malattia, quando entra nella cute e inizia il suo viaggio nel sangue”. Il problema è complesso, e la El Ridi lo riassume così: come si può aggredire la larva nella prima fase del suo sviluppo? In altre parole: come “toglierle il cappotto per permettere agli anticorpi di legarsi agli antigeni della membrana di superficie?. Per cinque anni ci siamo concentrati su questo problema”. I tentativi vanno dall’olio di mais al colesterolo. Fino alla sfingomielina. “Abbiamo scoperto che se la sfingomielinasi è inattiva, non si vedono gli antigeni, e al contrario se si attiva la sfingomielinasi l’antigene è visibile. Ma cosa attiva allora la sfingomielinasi?”. La risposta è: “Gli acidi grassi insaturi. Dunque, l’acido arachidonico è un mezzo efficace per lottare contro queste larve”. Da qui, prendono il via test su topi e criceti e la collaborazione con una società olandese che produce acido arachidonico. “L’antigene perseguita la larva come un cane dietro a una lepre. E prende questa larva per stanchezza, la sfianca. In questa caccia alla preda, abbiamo un successo che va dal 40 al 60 per cento”. La sfida, dunque, è perfezionare la caccia. Solo così il vaccino potrà essere pronto. Presto.