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Oltre l’orizzonte mediterraneo. La scienza araba in Galileo Galilei

Le tesi di Galileo distruggono il cosmo di Aristotele. Tesi dirompenti, che dimostrano come “non ci sia stato di quiete tra due movimenti opposti”. Il risultato sono i famosi cerchi con la pallina rossa, che ricostruiscono il movimento della terra che gira su se stessa e che nel frattempo gira intorno al sole. “Una dimostrazione che deve molto al lavoro di Copernico”. Ebbene, già qui si trovano tracce di testi arabi molto antichi: “Copernico è morto nel 1543, ma ci sono molti elementi in questo testo arabo di un autore morto trecento anni prima – spiega Saliba mostrando l’immagine di pagine antiche - la ricerca degli ultimi cinquant’anni dimostra che ci sono un bel po’ di teoremi inseriti nei testi latini provenienti da fonte araba”. L’idea stessa di cielo per Galileo è di Averroè, non di Platone. “Avicenna, Averroè: troviamo molti elementi nei suoi testi che vengono da questi autori. Averroè in particolare fonte più citata da Galileo insieme ad Alberto Magnus. Avicenna non ha così tante citazioni, ma gli è stato molto utile”. Quello che forse non tutti sanno, è che Galileo non conosceva l’algebra. “Non ha mai usato un’equazione e nemmeno le frazioni decimali, che sono state introdotte a metà del Seicento. A quanto pare non conosceva l’algebra, ne venne a contatto solo più tardi. E io trovo che questo sia molto strano – continua Saliba - perché al Khwarizmi, il nome da cui deriva la parola algoritmo, ha scritto il trattato dove spiega di aver coniato il termine algebra. E i traduttori latini arrivando al termine algebra, non lo traducono ma lo traslitterano dall’arabo. Eppure, questa parola non è conosciuta da Galileo”. Lo scambio con la cultura araba, in ogni caso, è a doppio senso. Perché se gli scienziati occidentali attingono a piene mani dagli studi compiuti al di là del Mediterraneo, ci tengono anche a far arrivare agli scienziati islamici i loro lavori. Giambattista Della Porta, per esempio, “scriveva in un suo libro che voleva che questo fosse tradotto anche in arabo. E nello stesso libro menziona Avicenna: uno scienziato come lui, infatti, era in grado di leggere le fonti islamiche e attingerne. Ma c’è un altro episodio molto significativo: Della Porta chiese di inserire una poesia in arabo nella prima pagina del suo libro. E questo perché pensava che se una poesia araba in prima pagina lodava il suo libro, questo avrebbe attirato elogi e ammirazione di tanti altri”. Va quindi ribaltata l’idea che gli scienziati del Rinascimento attingessero solo a vecchi testi latini e greci. “Gli scienziati del Rinascimento erano più intelligenti degli attuali storici della scienza, secondo i quali gli unici testi di riferimento erano quelli dell’Antica Grecia. Leggere Cicerone è sempre un grande piacere, così come leggere Omero. Ma la scienza è un processo cumulativo: il che significa attingere ai valori del passato per modificarli e aggiornarli. Per questo, per gli scienziati del Rinascimento era normale che il sapere da cui attingere fosse quelli del popolo islamico”.