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Siamo soli nell’universo? Dietro il “silenzio inquietante”, c’è una vita aliena: perché gli ET sono già tra noi. Parola di Paul Davies

l punto di partenza, che ha spinto 50 anni fa Frank Drake a puntare il radiotelescopio nello spazio per captare segnali alieni, è una delle domande più vecchie del mondo: siamo soli nell’universo? “Questa domanda, dapprima solo filosofica e religiosa – spiega Davies - è diventata scientifica grazie a Frank Drake. Ma questi tentativi non hanno portato a nulla. Eppure, quest’uomo, che oggi ha ottant’anni, ancora non si arrende. E porta avanti il progetto Seti (che sta per Search for Extra-Terrestrial Intelligence) con ottimismo. Ma allora perché non abbiamo ancora trovato niente e in cinquant’anni abbiamo captato solo un silenzio inquietante? Forse cerchiamo la cosa sbagliata nel posto sbagliato o nel tempo sbagliato”. Il punto, infatti, è un problema di tempi. E di spazi. “Intanto, va detto che non è possibile rilevare nulla oltre la nostra Galassia. Ci restano, comunque, 400 miliardi di stelle. Bene, se anche la Galassia fosse brulicante di vita, quanto lontana sarebbe questa vita? La più vicina a noi dovrebbe essere a 700 anni luce: quindi eventuali alieni non vedrebbero il nostro pianeta come è oggi, ma come era mille anni fa”. Dunque, perché avrebbero dovuto mandare un messaggio a una civiltà così arretrata? Seti, però, non è una perdita di tempo. “Meglio non pensare più a messaggi in arrivo – precisa Davies - ma rilevare segni o tracce di tecnologia aliena”. Un esempio? “Gli alieni avrebbero potuto costruire radiofari ottici nella Galassia. Spesso, infatti, gli astronomi rilevano segnali anomali”. Altra traccia possibile: “Gli alieni potrebbero occuparsi di astro ingegneria. Significa che potrebbero usare le materie prime degli altri pianeti”. Oppure, potremmo cercare tracce di tecnologia aliena già tra noi. Ma come? Le tracce, spiega Davies, dovrebbero poter resistere almeno cento milioni di anni. Ma cosa può durare così tanto? “Secondo me le impronte potrebbero essere costituite da scorie nucleari sotterrate. Se, per esempio, trovassimo del plutonio radioattivo, ci direbbe che c’è qualche altra civiltà intelligente sulla terra”. Se gli alieni fossero passati sulla terra, infatti, avrebbero avuto bisogno di energia. E dunque avrebbero lasciato tracce di una qualche attività mineraria. E questi segni si possono per esempio individuare con dei gravimetri, per capire se c’è irregolarità nel terreno”. È un po’ come nel film di Kubrick, 2001 Odissea nello Spazio: “Se lasciassero un obelisco sulla terra – continua Davies - non sopravviverebbe tanto tempo. Ma l’obelisco è un modo per inviare un messaggio, lasciare lì qualcosa per il futuro. Come si potrebbe fare meglio dell’obelisco? Usando la biologia”. E qui, la teoria di Davies è davvero spiazzante. Perché gli ET, in realtà, potrebbero essere già in mezzo a noi. Nessun omino verde con le antenne, certo. Ma microrganismi, batteri dalla struttura completamente diversa da quelli conosciuti. Una vita 2.0, insomma: “Negli anni ‘60 si pensava che la vita sulla terra fosse stato un incidente bizzarro, capriccioso, improbabile. Così improbabile che non avrebbe potuto verificarsi più di due volte. Oggi la visione è molto diversa: gli scienziati pensano che l’universo sia brulicante di vita e la transizione dalla non vita alla vita si verifichi spesso. Per scoprire se la vita si sia formata facilmente c’è un modo. E consiste nel cercare un tipo di vita sulla terra molto diversa dalla nostra, che ha avuto una genesi separata. Una biosfera ombra”. Dove potrebbero trovarsi, dunque, questi alieni? “Nei camini vulcanici dell’oceano, che possono contenere microrganismi straordinari resistenti a temperature elevatissime. O nel Mono Lake della California, ricco di arsenico: ci sono organismi in questo lago che riescono a non essere uccisi dall’arsenico”. Studi bizzarri, penserà qualcuno. Costosi e bizzarri. Ma “finanziati da privati – precisa Davies – tra cui Paul Allen, cofondatore di Microsoft”. E comunque capaci di spingere l’uomo oltre il proprio orizzonte conosciuto.